Ci sono giornate in cui il sole sembra capire quando è il momento di affacciarsi e di riscaldare tutto.
Spezia-Empoli è stata una delle tante partite di serie B di questi anni disputate nel nostro stadio, ed è stata anche l’occasione per i ragazzi di quella memorabile stagione ’85-’86 di riabbracciarsi in tribuna e di ritrovarsi poi per un magico quarto d’ora di fronte alla Ferrovia, in un angolo di quel rettangolo verde che è stato il loro manto dei sogni e non solo per un mero discorso di carta d’identità. C’è molto di più.
E’ una questione di palpitazioni del momento, di un campionato di C2 che ha preso le sembianze di una vera e propria cavalcata a tratti sofferta, a tratti trionfale, in un periodo fertile per la passione sportiva, anche quella più “calda” ed ignorante che aveva il pregio di unire sotto un unico bandierone l’intera città sportiva.
Quei ragazzi, inconsciamente, hanno dato il via a nuovi sogni.
Abbracci caldi, occhi lucidi, chissà quanti aneddoti riaffiorati in superficie provenienti direttamente dalle segrete stanze del cuore e della memoria.
Tutto molto bello, sabato, lungo la prima fila della tribuna del “Picco” anche per noi spettatori cosi coinvolti, eppure cosi lontani, da un mondo che per forza di cose dev’essere tutto loro, come uno spogliatoio in cui non è dato entrare, perchè noi siamo quelli che aspettano la fuori, che spingono, semmai, verso la conquista di un traguardo quello si, comune.
Spezia-Empoli di sabato scorso s’ è intersecata tra mille rivoli emotivi, perché c’è un presente importante da vivere, un presente che in quel passato appena citato pareva un mondo irraggiungibile, di quelli che scoppi a ridere anche solo parlandone, figuriamoci prospettandolo.
Gli occhi dei ragazzi dell’85 scrutavano Gilardino e compagni, sussultavano ad ogni azione pericolosa sotto un sole che in primavera illumina il “Picco” di colori davvero unici.
Mancherebbe solo il mare, un mare che poi in realtà è davvero li, a pochi metri, e assieme alle colline circostanti stringe il nostro stadio in una conca meravigliosa.
Hanno visto uno Spezia a tratti operaio, certamente coriaceo, un mix di tecnica e di cifra agonistica capace di mettere in seria difficoltà una squadra che in questa categoria è diventata, da un pò di tempo a questa parte, di un altra dimensione, quella di mister Andreazzoli e di bomber Caputo.
Sarà piaciuto senz’altro, a quei “vecchi” ragazzi, lo spirito combattivo sparso per ogni zolla del campo, la voglia di stringersi di fronte alle difficoltà del momento per andare oltre ai propri limiti, rimpicciolendo la forza dell’avversario col ruggito di uno stadio amico che ama veder combattere gli undici in maglia bianca; mister Carpanesi, a questo proposito, potrebbe scrivere racconti meravigliosi, e forse l’ha già fatto.
Sarebbe bello che lo Spezia Calcio curi, da qui in avanti, questo tipo di reunion, magari anche con squadre del passato meno vincenti ma comunque rimaste nel cuore della gente, pensiamo a fine anni ’80, agli anni ’90 o agli anni di Mandorlini, per finire allo Spezia della “doppia impresa” di Antonio Soda.
Passato e presente, dunque, che si legano indissolubilmente nel nome di quella maglia bianca che è la carta d’identità di ognuno di noi, con la certezza che il presente non è altro che quel futuro che ci sembrava lontano, forse perfino inarrivabile.
E’ la maglia bianca che ferma il tempo ed unisce milioni di minuti nel frattempo intercorsi.