[ot-caption title=”Pablo Granoche non riesce a battere Belec – Foto Ezio Tassone” url=”http://speziacalcionews.it/quotidiano/files/uploads/2017/03/Granoche.jpg”]
Lo Spezia si ferma ancora e di nuovo in trasferta, nel momento in cui avrebbe dovuto dare un segnale chiaro delle sue ambizioni.
Questa volta è il Carpi ad avere la meglio di una squadra timida, che subisce una metamorfosi tra partite casalinghe e partite in trasferta, basti guardare i dati da inizio anno, con i bianchi che lontano dalle mura amiche hanno vinto due volte, ed il dato è preoccupante se guardiamo al calendario “futuro“.
Poco, troppo poco per pensare di dare uno strappo prepotente verso l’alto.
C’è un piccolo o grande problema di mentalità generale, una sorta di paura di osare quando in trasferta si è chiamati a compiere un passo in più.
Come ieri quando, sotto di un gol dopo nemmeno un minuto di gioco, di fronte ad una squadra che non vive certo il suo momento migliore, le aquile hanno fatto fatica ad arrivare negli ultimi venti metri avversari, vittima di una prevedibilità di gioco che fa il paio naturale con una lentezza di fondo della manovra.
Senza cambio di passo, senza iniziative individuali di un certo livello e con tempi di gioco abbondantemente sotto la soglia di pericolosità, è davvero difficile far male, a chiunque ed in qualunque campo.
L’assenza di Fabbrini pesa, ha pesato forse troppo nelle ultime due trasferte, anche perché Baez, Piu e Mastinu, faticano ad essere decisivi nel gioco della squadra, e questo pesa più di quanto si possa immaginare nell’andamento regolare, o eccezionale, di una stagione.
E’ inevitabile tutto ciò se, oltre a questo, a non girare sono pure quegli elementi che dovrebbero garantire il quid in più per vincere le partite, vedi Piccolo e Sciaudone, vittime di momenti non esaltanti e ancora lontani dal rendimento fornito dal gennaio dello scorso anno, quando portando spessore tecnico e personalità.
Pesa anche l’infortunio di Giannetti, perché priva il mister di una variante tattica preziosa, quella delle due punte d’area di rigore, nei momenti di urgenza di palle sporche la davanti, nei momenti di maggior bisogno di profondità.
Di Carlo parla di una squadra al meglio della condizione fisica, da attendersi solo a fine marzo, questo può spiegare forse solo in parte queste prestazioni a metà, dunque, in un gruppo che non manca quasi mai a livello di grinta e di voglia, e che spesso, anzi, è vittima proprio di un centrocampo che fa tanta legna ma poca geometria e velocità quando è il momento di accelerare. I tempi di gioco, conseguentemente, sono quelli che sono.
Data l’assenza di Fabbrini, ieri Mimmo Di Carlo ha scelto un centrocampo muscolare, tenendo fuori i piedi buoni, Maggiore e Sciaudone, per poi inserire quest’ultimo ad inizio secondo tempo, al posto di un Djokovic vittima di problemi intestinali, e non in grado di portare qualità negli inserimenti in quella fascia, orfana dell’ex Birmingham.
Di sicuro, non ci arrendiamo ancora. In panchina c’è un combattente che farà tesoro anche di eventuali errori commessi, che prenderà vigore ancor maggiore da quella trentina di inviti a tirare fuori ancora più attributi, per una contestazione assolutamente isolata, e figlia comunque dello stesso amore di chi aspetta da tempo un salto di qualità che crediamo essere ancora nelle corde di questo gruppo.
Se solo si ritrovasse quel coraggio, quel cinismo e quella cura dei dettagli che ci permise lo scorso anno di compiere un recupero prodigioso lontano dalle mura di casa.
Siamo un po’ delusi, siamo un po’ arrabbiati, perché sappiamo di avere una società ambiziosa alle spalle, che si è messa nelle mani di un tecnico ambizioso e di in gruppo di valore tecnico tra i primi della categoria. Che difetta, fin qui, di una completa mentalità vincente.