[ot-caption title=”Antonio Piccolo – Foto Patrizio Moretti” url=”http://speziacalcionews.it/quotidiano/files/uploads/2017/04/Piccolo-1.jpg”]
Più brutto, più compatto, più cattivo. Una sorta di Spezia 2.0 fiorito in primavera, seppure nel pieno di una tempesta terminata solo qualche giorno fa.
Un cambio di modulo che da tempo auspicavamo, per provare a sparigliare un po’ le carte di una squadra che sembrava essere conosciuta troppo bene da tutti, che andava avanti con lo stesso modulo da mesi, ed avrebbe avuto bisogno di maggiore compattezza visto il momento atletico tutt’altro che florido.
Mimmo Di Carlo ha dato una svolta in questo senso quando che ha capito, dopo la sconfitta contro il Benevento, che non era più tempi di squadra lunga e lingua fuori, di uno contro uno come se non ci fosse un domani.
Quindi, da Verona, difesa a 3, Migliore e De Col a dare manforte tra difesa e centrocampo allargando le maglie avversarie, ed in mediana un mix di fisicità (soprattutto) e qualità (il giusto, con Maggiore).
Un centrocampo a 5 supportato spesso anche dalle punte, che ieri come a Verona sono stati i primi difensori nel vero senso della parola.
Così (ri) nasce una squadra che vuole (ri) costruire un discorso ambizioso.
Una squadra che non si rassegna all’anonimato e che, da ieri sera, ha nuovamente un piede (uno, per carità) saldo in griglia Play Off.
Contro il Bari, il tecnico aquilotto ha trovato, e forse preteso, una squadra che badasse molto poco ai ricami e tanto alla “legna“, una squadra di categoria, più sporca, operaia.
Le numerose palle calciate in tribuna, Terzi quasi alle prese col ruolo di libero vecchio stampo, Djokovic e Sciaudone a fare da muro e coi tacchetti sempre protesi in avanti, verso un nuovo domani da strappare con i denti.
Qualche cambio del mister che fa sospirare, nel momento in cui lo Spezia ha perso il controllo della partita dalle mani contro una squadra ridotta in inferiorità numerica, ma più fresca, dopo che i bianchi hanno tenuto il piede sull’acceleratore per tutti i primi 45 minuti di gioco.
Il gol di un monumentale Granoche sancisce una vittoria preziosa, che giustifica i mezzi, vista l’importanza della posta in palio, e spiega in parte anche quel braccino corto intravisto negli ultimi 25 minuti, quando la paura di vincere era lampante, si tagliava nell’aria a fette.
Era la paura di tutto uno stadio, paura di non farcela, di tornare a vedere vecchi e recenti fantasmi.
Il sig. Di Paolo non ha lesinato il vento contrario che ad un certo punto si è fatto insistente e pericoloso, un fischietto che non ha mai lasciato grandi ricordi e che ha deciso, nell’ultima mezzora, di dare un indirizzo preciso, a senso unico, al match.
Qualcosa che non vorremmo francamente più vedere, che fa male ad un campionato cosi equilibrato come questo, qualcosa che tanto male ci ha già fatto nel recente passato, senza accampare scusa alcuna.
Il boato finale, che segue l’ennesima palla calciata il più lontano possibile dalla porta di Chichizola, è il suono di un “Picco” che si ritrova quasi improvvisamente una squadra dal nuovo volto tra le mani, ruvida, cattiva. Forse cinica.
Desiderosa, senz’altro, di riprendersi il destino tra le mani, rinvigorita dalla rabbia dell’ambiente scoppiata una settimana fa, e supportata, in questa nuova idea ambiziosa, da una veste tattica più confacente al momento.
Lo Spezia 2.0 di primavera.