Tre partite sono pochissime per stabilire forza e potenziale di questa squadra, mentre possono essere sufficienti per sottolineare quanto il nostro appuntamento con l’entusiasmo sia ancora una volta rimandato.
Qualcosa che ci trasciniamo da anni e per motivi diversi, eccezion fatta per quelle mirabili imprese in coppa Italia e per qualche Play Off acciuffato ma sfuggito via troppo presto, non sempre per nostri demeriti.
A questa piazza, alla sua tifoseria abituata a competere verso l’alto fin dall’avvento di Patron Volpi, servirebbe una scossa positiva, un filotto di quelli da ricordare, qualche stazionamento deciso e non barcollante nelle zone alte della classifica.
Qualcosa che crei phatos e magia, spirito ed unione.
Basterebbe, questo sconosciuto, forse anche solo un inizio sprint, basterebbe non sbagliare, come spesso è avvenuto in questi anni, quelle partite che “ti fanno fare il salto di qualità“.
Certo, sono spazi di popolarità, questi, difficili da ritagliarsi in un campionato cosi competitivo e complesso, c’è chi, però, ogni anno ci riesce, e non parliamo solo delle paracadutate.
Solidità, talento, coraggio, fortuna, episodi favorevoli, un puzzle che fatichiamo da matti a mettere insieme; il risultato finale sarebbe la rappresentazione di un sogno, o qualcosa di somigliante.
Per mille motivi si fa fatica ad accendere il fuoco dell’entusiamo, nonostante campionati anche interessanti e divertenti, vedi il primo anno di Bjelica ed i primi mesi di Mimmo Di Carlo.
Ecco, i risultati non eccezionali ma buonissimi di quelle due gestioni basterebbero, adesso, per riaccendere un entusiasmo latente, nascosto ma vivo, soffocato e mai realmente domo.
Non si risentirà di certo mister Marino se segnaliamo, dopo la miseria di sole tre partite, un piccolo campanello d’allarme, forse due:
Il primo riguarda la troppa facilità con la quale i centrocampisti avversari riescono, in determinati momenti di partita, ad attaccare con apparente disinvoltura i nostri ultimi venti metri.
Poco filtro da parte di un centrocampo a volte fragile, impaurito, distante dal possesso palla avversario; un reparto, questo, che pure dovrebbe aver acquistato gamba ed intensità in sede di mercato, mentre aspetta ancora un giocatore come Mora apparso inesorabilmente un lontano parente di quel giocatore ammirato a Ferrara.
E’ vero, lo Spezia in generale non subisce mai troppo l’iniziativa avversaria, attraversa però dei pericolosi momenti di black out nei quali perde misura e distanze tra i reparti.
Come a Cremona, anche contro Brescia e Venezia, nei primi 45 minuti, è spesso andato in scena questo lato negativo.
Potrebbe trattarsi, e qui veniamo al secondo campanello d’allarme, di un piccolo o grande problema di personalità.
Gli approcci sbagliati o timidi possono essere figli di una mentalità ancora debole, in formazione, e l’unica speranza è quella che mister Marino possa plasmare al più presto un’identità di squadra forte, cavando fuori il meglio da ognuno dal punto di vista tecnico e tattico.
Il tecnico siciliano, professore del gioco offensivo fatto di tre punte praticamente di ruolo e di centrocampisti bravi a trasformare l’azione da difensiva in offensiva, ha appunti a sufficienza sui quali lavorare.
La scarsa vena realizzativa mostrata nelle due trasferte fin qui affrontate non fa che accentuare i problemi mostrati qualche metro più indietro; senza i gol, tutto diventa più difficile, soprattutto per una squadra pensata e costruita per fare un gol in più degli avversari, sebbene, oltre a Galabinov, sono pochi i giocatori di sicuro affidamento sotto porta.
Sabato, al “Picco”, sarà di scena la capolista Cittadella.
Società che non può vantare un seguito importante tra i propri sostenitori, ma che ha fatto della continuità tecnica e programmatica un mantra che la sta portando a risultati insperati.
E poi, nove punti in tre giornate, una vetta forse effimera ma bellissima, qualcosa che, succedesse qui, tornerebbe a far tremare le mura di passione..