Nel 2014 attirò eccome l’attenzione degli addetti ai lavori, quando Guidolin lo lanciò tra i pali dell’Udinese neanche maggiorenne.
Un talento precoce che bruciò le tappe, Simone Scuffet, che strappò applausi oltre che un mare di scommesse per un sicuro avvenire.
Per alcuni il nuovo Buffon, per altri un portiere prodigio con caratteristiche diverse dal portiere juventino, capace di attirare ben presto le attenzioni di altri club europei, Atletico Madrid su tutti.
Perfino Cesare Prandelli lo convocò per uno stage della nazionale maggiore alla vigilia dei mondiali in Brasile.
Insomma tutto un contorno con i fiocchi, un luccicare continuo di riflettori che solo qualche mese prima sarebbe parso realmente solo come un sogno.
La storia successiva, però, prese una strada non cosi irta di rose e fiori dopo la prima, precoce ma positiva, stagione nella quale giocò 16 partite a guardia della porta friulana.
Rifiutò la Spagna per il solo desiderio di continuare a crescere dentro un ambiente nel quale si sentiva a proprio agio con tutti, mentre l’Udinese aveva già pronto un accordo ricco di moneta sonante con l’Atletico Madrid.
Quell’anno, però, trovò poco il campo; a quell’età basta una piccola flessione per commettere passi falsi e ritrovarsi improvvisamente privi di quella fiducia necessaria.
Cosi, alla stregua di quest’anno a Spezia, pur di giocare passò nel 2016 a Como, in B, piazza nella quale, nonostante la retrocessione, risultò uno dei portieri migliori della categoria; 35 presenze da titolare che gli permettono di ritrovare fiducia e continuità, sebbene all’interno di una compagine con molti limiti.
L’Udinese non lo molla, lo riporta a casa ma nelle tre stagioni successive trova il campo a singhiozzo: sono 21 le presenze a difesa della porta friulana, occasioni nelle quali non fece male, ma la concorrenza in questi anni di Karnezis, Bizzarri e Musso fu forte e finì per relegarlo ai margini, seppur sempre in un club importante di massima serie.
Quel treno meraviglioso dal quale partì neanche maggiorenne pare sempre più sfuggirgli sotto i piedi e cosi, poco più che ventenne, cerca di ricostruirsi un futuro fosse anche lontano dall’Italia.
Sceglie, chissà perchè, la Turchia, il Kasimpasa: un altro mondo, un altro calcio, un altro ambiente dentro e fuori dal campo.
Un’esperienza che gli permette di ritrovare il campo, ma che al tempo stesso gli spara addosso un’evidente nostalgia del calcio nostrano, del nostro Paese.
Non ne fa una questione di categoria, e cosi Angelozzi, in extremis, trova un accordo con l’Udinese, che ancora ne detiene il cartellino. Ne esce fuori un prestito con diritto di riscatto ad una cifra importante ma non impossibile, un milione circa di euro, probabilmente trattabili.Arrivato forse troppo presto ad alti livelli, gli sarebbe bastata, chissà, una dose in più di fiducia dopo i primi tentennamenti. In quel ruolo, si sa, ne occorre a livelli massicci, soprattutto se sei giovanissimo, dopo i primi inciampi.
La sua stagione agli ordini di Vincenzo Italiano parte temporalmente in ritardo ma ben presto, complici anche alcune incertezze del giovane Krapikas, trova la porta aquilotta per non lasciarla più.
23 presenze fin qui, un rendimento a crescere fino a toccare picchi molto alti, riconosciuto da tutti, e la convinzione diffusa che la porta aquilotta abbia finalmente ritrovato un degno padrone dopo i fasti di Leandro Chichizola e le stagioni successive nelle quali, la nostra area di rigore, non ha trovato un padrone con la necessaria personalità ed una classe almeno paragonabile a quelle.
Personalità, appunto, tecnica tra i pali, reattività, ottimo uso dei piedi, tutti elementi mai messi in discussione per un portiere di quel talento e di quella precocità, che avevano bisogno di ritrovare campo e smalto.
Il ragazzo si trova molto bene in riva al golfo, la difesa ha trovato quella sicurezza tanto ricercata nel recente passato, la società fa più di un pensierino per il suo acquisto definitivo o, in alternativa, per trovare comunque una strada con l’Udinese in vista di una sua riconferma qui.
Una scelta che ha fatto bene ad entrambi, quindi, permettendo da un lato a Scuffet di ritrovare se stesso in una piazza giovane ma ambiziosa, allo Spezia di trovare un degno erede di quel portiere argentino rimasto nel cuore dei più, dopo le parentesi Di Gennaro e Lamanna.