Voto : 7,5
La firma più grande posta sopra questa agognata salvezza è senza dubbio quella di mister Luca D’Angelo.
Arriva in un momento drammatico, con la squadra in confusione tattica e in costante crisi di risultati.
Mister Alvini non è riuscito a mettere una pezza su una situazione già critica in partenza, critica più per motivi mentali che tecnici: ha provato a disegnare fin da subito uno Spezia d’attacco, come da richiesta estiva della famiglia Platek che chiese a Macia, come condottiero, una figura quanto più simile possibile a quella di Vincenzo Italiano, artefice supremo del primo Spezia che ebbero l’onore di presiedere per un breve periodo.
Giocatori scontenti o poco funzionali alle sue idee di calcio, squadra talvolta votata fin troppo all’attacco, reparti che con l’andare del minutaggio si scoprivano lunghi, sfilacciati, e qualche elemento prezioso costretto ai box (vedi Hristov e Wisniewski).
D’Angelo porta razionalità e una maggiore accortezza tattica, le differenze son ben visibili già prima della grossa mano ottenuta dal mercato di gennaio, quando chiede e ottiene giocatori funzionali al suo modo di fare calcio. Perde Reca e si ritrova per mesi monco sulla corsia mancina ma recupera Hristov, mentre Mateju e Nagy portano fisicità, mentalità e quella dose di ruvidità agonistica necessaria in questa categoria per restare a galla in ogni gara.
Davanti arrivano Falcinelli e Di Serio, due attaccanti che, con differenti caratteristiche, completano un reparto d’attacco costruito male in estate. E poi coccola Daniele Verde, lo porta al centro del progetto, lo schiera un po’ ovunque dalla cintola in su, una cristalleria che aveva estremo bisogno di essere lucidata.
Il fantasista napoletano lo ripaga con prestazioni generose – pur tra alti e bassi – e qualche gol importante che lancia la rincorsa salvezza e innalza il morale di tutti.
Col passare delle settimane la sua squadra stupisce per personalità e quadratura tattica al cospetto di qualunque avversario, subisce sempre meno gol e sempre meno azioni pericolose su qualunque campo, Zoet figura spesso quasi inoperoso e cosi, punto dopo punto, sgomitando, le aquile riescono a mettere fuori il becco dalla zona Play Out pur frenata da qualche episodio negativo che poteva condizionarne la testa e il cammino.
Infonde un’anima, un’identità tattica tutt’altro che prudente ma sempre estremamente equilibrata e solida fino a sembrare, quell’undici in campo, un auto in grado quasi di guidarsi da sola nelle ultime settimane.
Un meraviglioso crescendo che culmina nell’ulteriore capolavoro tattico ottenuto contro il Venezia al “Picco” nella sfida più delicata della stagione, con i suoi immeritatamente sotto sugli sviluppi di un corner e ogni risultato possibile contrario proveniente dagli altri campi: senza paura i suoi ribaltano un destino che sembra ancora essere poco gentile con questi colori, ribaltano il finale di un film che, per certi aspetti, pareva essere molto simile a quello visto un anno prima.
La riconferma appare quanto mai meritata e doverosa, il popolo bianco chiede a gran voce di potersi riaffidare a lui e lui ha tutto il diritto di giocarsi – dall’inizio – la possibilità di raggiungere qualunque altro tipo di obiettivo possibile.