Le ore successive alla vittoria ottenuta sul campo della Salernitana hanno portato in città una ventata di euforia difficile da contenere.
Non bastano le parole a fine gara di mister D’Angelo per tenere basso il livello di guardia di un entusiasmo divenuto palpabile nella piazza, una piazza che annusa odore di grande stagione dopo le ultime due caratterizzate da diversi dolori e diffusi grigiori.
Sembra sempre più un pompiere, il tecnico abruzzese: acqua sui focolai di gioia, acqua su qualunque pensiero che si elevi al di sopra di quello che è il livello dell’obiettivo primario posto a inizio anno, ossia quello della salvezza.
Se questo continuerà ad essere il cammino delle aquile – 5 vittorie e 4 pareggi fino ad oggi – sarà estremamente arduo e sempre più rivestito di scaramanzia questo suo tentativo di tenere i piedi saldi a terra, per quanto assolutamente corretto, necessario, indispensabile.
Conosce troppo bene il calcio di oggi e ancor più conosce nel dettaglio questa categoria, l’allenatore ex Pisa.
Sa perfettamente quanto basti alleggerire la tensione agonistica per andare incontro a prestazioni al di sotto delle aspettative e soccombere al cospetto di qualunque avversario, su qualunque campo.
Sa perfettamente quanto può essere pericoloso allentare anche inconsciamente quello spirito di sacrificio collettivo che sta plasmando un gruppo coriaceo e solido nei 90 minuti.
Sono diversi gli ingredienti messi sul tavolo per affrontare una stagione lontanissima parente di quella dello scorso anno.
C’è voglia di stupire, di mettere la testa sopra agli altri gara dopo gara, un passo per volta.
C’è voglia di costruire sempre più solidità sopra alle certezze raggiunte nello scorso finale di campionato, c’è voglia di innalzarsi e di mantenere tutt’altra quota rispetto a quella di qualche mese or sono.
C’è voglia di competere e di sudare al massimo per una maglia da titolare o, comunque, di portare acqua al mulino della causa anche se si dovesse scendere in campo per 10, 15, 20 minuti di gioco.
C’è un’anima di squadra ben visibile che va al di là di qualunque discorso tecnico e tattico, che supporta il gruppo anche nei momenti più complessi di una gara, che fa sembrare la somma degli undici sempre più un corpo unico, corazzato a immagine e somiglianza di un popolo che da sempre recita il calcio come una preghiera fatta di sofferenza, sudore, grinta.
C’è la disponibilità di tutti al sacrificio, c’è la fiducia che è data dai risultati e la voglia estrema di alimentarla, di non disperderla adesso che il vento in poppa soffia forte.
C’è amalgama e compattezza, non ci sono reparti sfilacciati, corse risparmiate, gambe tirate indietro.
C’è cattiveria agonistica ed un piano ben studiato in estate, in tema di fisicità, per fare un calcio verticale che si rivela spesso un’ottima idea per primeggiare in una categoria che richiede pochi fronzoli e tanta sostanza.
C’è una squadra che ha fame di arrivare, che ha fatto tesoro degli errori del passato.
Non ci sono prime donne ma soltanto singoli determinati ad apportare qualcosa in più al collettivo, pensando a gara per gara.
E’ giusto, allora, che la piazza sogni, che intraveda argomenti sempre più corposi per pensare in grande.
E’ giusto che una squadra con determinate stigmate senta tutta l’onda di questa passione crescente, certi che saprà trasformarla in ulteriore benzina.
Il trionfo di Vincenzo Italiano si cibò di entusiasmo dopo aver attraversato e superato un momento molto difficile, prima che lo scoppio del Covid costringesse forzatamente la gente lontana dagli spalti.
Anche questo Spezia, in fondo, nasce sulla spinta di criticità superate con grande sofferenza.
Se è vero che i dolori e le difficoltà temprano, siamo certi che questo gruppo saprà fare di tutto per mantenere questo livello di piacere estremo.